Sabato 23 marzo ore 18.30
Pietro Clemente e Antonello Ricci
duettano su
Siena città invisibile
dallo zoccolo di Guidoriccio alla dantesca Diana
riflessioni in margine al nuovo racconto in versi di Antonello Ricci
“Fuori da dove. Il ritorno” ed. Effigi
Il nuovo racconto in versi di Antonello Ricci, con prefazione e acquerelli di Gino Civitelli, racconta di un viaggio in macchina, da Viterbo a Siena, lungo il nastro ondulato della vecchia Cassia, attraverso le crete ventose della Val d'Orcia.
Su una strada che per cento anni servì da immondezzaio-dimenticatoio per i “mali” più disparati e socialmente inconfessabili (alcolismo, prostituzione, epilessia, pazzia “di guerra”, figlio N.N.).
Il racconto funge da spunto e da sfondo al duetto che vede protagonisti Pietro Clemente e Antonello Ricci. Siena città invisibile è il titolo della conversazione che li vedrà confrontarsi e riflettere sulla città antitesi tra certezza della materia e sua illusorietà, Siena come città della mente e culla di linguaggi. Viaggi, paesaggi, identità come invenzioni, sogni, città invisibile nel senso trasmesso dallo sguardo del poeta Luzi nel suo Ritorno a Siena:
“Più realtà e più sogno insieme, indistintamente. Niente per me che scendo dal fiorentino è materia più certa, netta, per nulla illusoria, di questi campi lavorati, di queste terre a riposo e di queste case rustiche e insieme civili vigorosamente squadrate; e niente è più immateriale di tutto questo quando sale a sublimarsi nei marmi e nei cotti di Siena. Così la città appare intrinseca e distante nella sua stessa regione, insieme può dare il senso della terra e apparire circondata dal vuoto e dalla vertigine”.
Il viaggio come metafora della vita, come la cavalcata di Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini che oltre a proporre la pittura come luogo di un senso preliminare, fondativo rispetto alla realtà stessa, ci ricorda l'esistenza di un centro e di una periferia.
Ricci, attraverso gli occhi di Anna, racconta Siena come meta, l'ospedale psichiatrico San Niccolò che incombe come luogo di ricordi e vaso colmo di rimossi di un passato mai veramente passato. Così ancora oggi può capitare anche a noi di udir sillabare, in bocca a qualche vecchio viterbese, il terribile blasone:“e alla fine lo portarono a Siena”.
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